Le rose nel giardino di Emily non erano mai state così belle come in quel fine maggio, o almeno così soleva ripetere lei a tutti i passanti che interrompevano la loro passeggiata per osservare la cura con cui, con estrema lentezza, si occupava di ogni piccola foglia del suo giardino.
Osservava quei fiori come se fossero il coronamento di un lungo percorso di ricerca della perfezione, cambiava prospettiva, annuiva leggermente e sorrideva.
Per chi non la conosceva bene era facile pensare che venisse da un altro paese; aveva tutto l’aspetto di una signora inglese, capelli grigi raccolti, forse una volta biondi, carnagione chiara, vivaci occhi azzurri, composta, riservata, ma sempre con un sorriso per i ragazzini del quartiere che spesso passavano o si rincorrevano davanti al vialetto della sua piccola villa.
L’aveva fatta costruire il marito molti anni prima quando, ancora giovani, erano venuti a vivere in provincia per fuggire dalla città. A ripensarci oggi, la somiglianza con le villette inglesi forse non era un caso, ma una precisa intenzione di ricreare il gusto di un piccolo mondo su misura in cui, evidentemente, si sentivano a loro agio.
La villetta, in mattoni rossi e finestre dagli infissi bianchi, era di modeste dimensioni; costruita su due piani, aveva le camere da letto al piano di sopra e un salottino e una cucina al piano terra. Il salottino, arredato in maniera sobria e un po’ retrò, era illuminato da un’ampia finestra costruita nello stile dei bow window inglesi. Lungo tutto l’arco di quella finestra correva all’interno una panca in legno a semicerchio sulla quale sovente dalla strada si poteva scorgere Emily seduta mentre leggeva un libro o sorseggiava un tè osservando le sue rose.
Emily non era il suo vero nome, era un soprannome, un vezzo che si era concessa da ragazzina dopo aver letto quello che rimase uno dei suoi romanzi preferiti, Cime Tempestose di Emily Brontë, autrice dei primi dell’ 800 nativa dello Yorkshire, in Inghilterra. Già, ancora l’Inghilterra.
Curiosamente, anche l’autrice utilizzò sempre uno pseudonimo, Ellis Bell, perché in quell’epoca non era facile essere una donna scrittrice.
Sapevano tutti che il marito era scomparso alcuni anni prima, lasciandola sola ad occuparsi del giardino; ma nessuno aveva mai avuto l’indelicatezza di chiederle i particolari. Lei stessa tuttavia, in alcune occasioni, aveva raccontato che l’idea di rimuovere la staccionata era stata proprio di suo marito.
Una mattina di primavera di molti anni prima lo trovò in piedi, pensieroso, a braccia conserte nel loro giardino; lei gli diede il buongiorno e lui le andò incontro come se la stesse aspettando vicino a quell’oleandro da settimane. «Pensavo - le disse facendo una piccola pausa - che senso ha costringere la bellezza di questo giardino in un recinto?». Emily aggrottò la fronte: «Ti sei svegliato bene?» chiese, pensando avesse preso una pastiglia sbagliata al posto di quella per la pressione. «Ieri sera ho visto due ragazzi che camminavano lungo la staccionata - continuò lui, ignorando completamente il suo sarcasmo - si sono fermati e si sono dati un bacio, forse era il primo. E mi sono chiesto…quanto sarebbe stato più bello se quel bacio se lo fossero dati su una panchina nel nostro giardino, col profumo delle rose attorno?».
Emily era rimasta dapprima divertita da quell’uscita così stramba del marito che, sì, era sempre stato un tipo romantico, creativo, appassionato, come lei, di letteratura e teatro, ma mai teatrale. Nel pomeriggio, ripensandoci, aveva avuto una sorta di presentimento, come se un progetto del genere fosse una di quelle cose simboliche che fanno le persone quando sentono di non avere più molto tempo.
Si scrollò quella sensazione di dosso e, per non sfidare troppo il destino, la sera a cena disse al marito: «Ma lo sai che quella del giardino senza recinzione non è una cattiva idea? Proviamo dai, mettiamo la staccionata in garage e, se cambiamo idea, la rimettiamo dov’era. Però…voglio una panchina. Bianca. Così in estate posso leggere tra i miei fiori». Il marito non disse nulla, fece solo un grande sorriso con lo sguardo basso, quasi come se si vergognasse di quell’idea un po’ infantile che aveva avuto.
Alcuni giorni dopo la staccionata alta mezzo metro era sparita, e una panchina di legno verniciata di bianco era stata posta di fronte al cespuglio di rose più grande. I passanti notarono subito il cambiamento, anche se nei primi giorni tutti quelli che spesso si fermavano ad ammirare i fiori continuarono istintivamente a rispettare quel confine, ormai solo immaginario, restando fuori dal vialetto di ingresso.
Passarono le settimane, e sia Emily che il marito man mano abituarono i vicini ad entrare e sedersi nel giardino se volevano riposarsi lungo la loro passeggiata, anche se a tutti sembrava così strano che qualcuno condividesse senza alcun apparente motivo uno spazio privato che, di solito, la gente comune nasconde con muri o siepi per tenere lontani tutti.
Una sera di luglio, saranno state le nove, Emily stava leggendo seduta nel suo bow window alle ultime luci della giornata, sollevò lo sguardo e vide due ragazzi molto giovani seduti sulla panchina bianca. Non poteva sentire cosa dicessero, lui la prendeva in giro per qualcosa e lei corrucciava lo sguardo fingendo di arrabbiarsi. Poi lui le prese il viso tra le mani, chinò leggermente la testa e le diede un bacio, circondato dal profumo dei fiori.
Emily ebbe un sussulto. Avrebbe voluto chiamare suo marito per fargli vedere quel piccolo inaspettato film che stava succedendo nel loro giardino, e che lui aveva già sceneggiato nella sua mente mesi prima.
Ma suo marito non poteva ascoltare quella storia, perché non era più lì.
La staccionata non era mai più tornata e molti altri baci erano stati dati in quel giardino, tanta bellezza era stata condivisa primavera dopo primavera, e a nessuno era mai venuto in mente di strappare anche solo un fiore, perché non puoi essere un ladro di qualcosa che ti viene regalato.
Le rose nel giardino di Emily, dicevamo, non erano mai state così belle come in quel fine maggio, erano fiorite con un sorprendente vigore, con colori intensi e vividi, quasi come se fosse la loro ultima trionfale primavera.
La loro custode era abbastanza avanti negli anni ormai, ma non abbastanza da trascurare la quotidiana cura del giardino. Quella mattina si era alzata presto, aveva svolto la sua routine immutabile da anni, aveva bevuto il suo tè con i piedi sull’erba, letto alcune pagine di un libro nel suo bow window, ma verso mezzogiorno le era venuta fame. Non mangiava mai a metà mattina, aveva ancora nella testa la voce di sua madre che le diceva che non si mangia a quell’ora perché ci si rovina il pranzo. Ma quella mattina aveva percepito un solletico, una sensazione diversa, come se dovesse rompere la routine e assecondare quel tenero capriccio da bambina. Aveva sempre avuto la passione per il cibo semplice, e il pensiero di sua madre le fece venire in mente pane e olio, la sua merenda d’infanzia.
Emily faceva tutto molto lentamente ormai, ma poco le importava a che velocità girasse il mondo fuori dal suo giardino. Prese il pane, ne tagliò due fette uguali e le mise su un piatto. Versò sopra l’olio tenendo un dito sul beccuccio per farlo scendere piano piano, giusto un filo, per distribuirlo con cura sulle due fette, disegnando delle piccole onde sulla mollica, prima in un verso poi nell’altro. Prese una fetta e la pose sull’altra, entrambe dal lato dell’olio, poi le schiacciò con delicatezza per far penetrare l’olio nella mollica, e le rimise come prima, fianco a fianco. Mise un pizzico di sale su ogni fetta, un po’ di origano, e tornò a sovrapporle e a schiacciarle. Quando si concentrava aveva un buffo modo di stringere le labbra all’interno tra i denti, fino a farle scomparire sotto i suoi grandi occhiali da vista dallo stile retrò anni ‘70. Prese, infine, un po’ di formaggio grattugiato e lo distribuì con cura e senza parsimonia sulle due fette. Si sedette nel suo bow window e chiuse gli occhi mentre assaporava quella merenda che la faceva immediatamente tornare bambina, come le madeleine di Proust.
Il dolce sole di maggio scaldava il giardino, ed Emily, così inebriata da quel piccolo capriccio che si era concessa, decise che avrebbe pranzato più tardi, attraversò scalza il giardino e si sedette sulla sua panchina bianca davanti alle rose. Il viale era molto tranquillo a quell’ora poiché tutti erano a pranzo, c’era un silenzio rotto solo dal ronzare delle api.
Emily da alcuni giorni era un po’ stanca, e, per la prima volta da molto tempo, aveva cominciato a sentirsi sola. Dopo la scomparsa del marito aveva sofferto moltissimo, certamente, ma col tempo aveva imparato a convivere con i ricordi, e prendersi cura di quel giardino era il suo modo di mantenere vivo l’uomo che ne aveva fatto bellezza da regalare e condividere.
Assorta nei suoi pensieri, aveva improvvisamente desiderato più di ogni altra cosa di poter essere di nuovo con lui su quella panchina, stretti come i due ragazzi innamorati di quella lontana sera di molti anni prima. Le tornò in mente di come le faceva il solletico e rise senza trattenersi, mentre il sole le scaldava le spalle. Nella sua malinconia chiuse gli occhi e immaginò che quel calore fosse un lungo abbraccio, si abbandonò ai ricordi, e quei pensieri così dolci e intensi li sentì stringere forte nel petto.
Una farfalla, nel frattempo, aveva lasciato uno dei tanti fiori e si era delicatamente posata sulla sua mano; aveva mosso lentamente le ali come fosse una piccola danza o una carezza, e, così come era arrivata, era volata via.
Ed Emily con lei.
6 Commenti
Storia meravigliosa e raccontata in una maniera straordinaria. Hai un vero talento (non solo uno), non c'è altro da dire. Io avrei suggerito ad Emily di mettere qualche manifesto per il paese e invitare tutti a vedere le sue bellissime rose. Sarebbe stato un peccato se qualcuno se le fosse perse solo perché ignorava l'esistenza di questo bel giardino senza staccionata. S.
RispondiEliminaGrazie davvero 🥰
EliminaUna dolce storia che mi porta tanto a pensare a quanto l’amore oggi non sia più quello che era una volta, o quello che tutti ci immaginiamo. Penso a quanto sia doloroso rimanere soli dopo aver avuto un amore così bello e grande e, quanto sia bello allo stesso tempo, il dono della morte (perché come la vita, é un dono) e di poter raggiungere i nostri cari per una vita eterna, se c’è, in pace e serenità come nel giardino di Emily.
RispondiEliminaForse l’amore è lo stesso di una volta ma siamo noi che, troppo distratti, non sappiamo più cercarlo come prima
EliminaConfesso che questo breve racconto mi ha fatta commuovere. Ci sei riuscito per la seconda volta...le madeleine, il pane con l'olio, la pasta e patate e per me il profumo del bosco, come il richiamo a qualcosa di perduto, che perduto in fondo non è, ci lascia però un senso di nostalgia, a volte malinconica a volte no.
RispondiEliminaAdoro la perfezione dei dettagli.
Sei stato capace di portarmi dentro alla scena, di farmi venire voglia di sedermi su quella panchina a dare il mio primo bacio, al contempo di essere nei panni di Emily ed osservare l'amore immersa in quel rogoglioso giardino dai colori vividi e al profumo inebriante.
Sosterró tantissimo questa tua vecchia, nuova passione.
Ti ringrazio tantissimo per le tue bellissime parole 💕🙏
EliminaLascia pure un commento, ma sii gentile.