“Nessun uomo è un’isola” diceva quello là, come se fosse facile essere il Liechtenstein, lì in mezzo, pigiato al centro di un continente tra tutti quegli stati grossi che ti schiacciano e ti stanno addosso.
Io, ad esempio, mi sono sempre sentito come Tristan da Cunha, un’isola britannica situata nell’Oceano Atlantico meridionale a 2.800 chilometri dalla più vicina porzione di terraferma, la costa sud-occidentale del Sudafrica, l’isola più isolata del mondo.
Perché in fondo io sono sempre stato così, un solitario part time, uno che ama stare davanti a tutti su un palco, con tutti gli occhi addosso, la gente che ti tocca e ti abbraccia per fare una foto, e poi un orso nella caverna che sobbalza se sente il citofono perché non ha mai avuto un amico a cena o persone che “passano di lì” e salgono a prendere un caffè.
Probabilmente sarei stato il tizio strano di Tristan, il traditore che va a lavorare sul continente davanti a millemila persone all’anno, per poi sfruttare solo il bello dell’isolamento, quello che scegli e non che subisci.
Tanto amo essere invaso dal contatto fisico nel weekend, quanto vedo una cena di amici a casa mia come una rettoscopia fatta da un tirocinante arrivato penultimo al concorso.
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Emile Hirsch nei panni di Alex Supertramp in una scena del film "Into the Wild" |
Sì, va anche detto che lo ha scritto in un bosco dopo due anni di viaggio in solitaria, mentre stava per morire intossicato da bacche velenose, da solo in mezzo all’ Alaska in un pidocchioso pulmino congelato e minacciato da un fiume in piena a pochi metri.
Può una persona di fianco a te percepire la tua felicità? E come? Come faccio ad esprimerla a parole se manco io so bene perché la stia provando? La contentezza può durare molto ma la felicità è un momento, se provi a descriverla a qualcuno è già passata, perché stai già ragionando, la stai spiegando.
Ma ci pensi che rischio affidare la felicità a qualcuno che domani magari non c’è più? Ed è anche un pensiero pigro, è come far fare il lavoro sporco a qualcun altro, io me ne sto lì con la mia miserabile vita ad aspettare, e poi arriva qualcuno che mi salva. Eccerto, come no.
Io non lo so quale sia la verità, forse davvero nessun uomo è un’isola, in fondo nemmeno io riesco ad esserlo del tutto. Forse Alex un po’ aveva ragione, qualche volta mi capita di vivere un momento felice e di aver voglia di raccontarlo, non a “qualcuno”, ma a qualcuno che sappia capirlo, anche se lo spiego in modo pessimo e confuso.
Alla fine non importa se ti senti il Liechtenstein o Tristan da Cunha, l’assenza di legami formali e la solitudine non hanno nulla di negativo di per sé, l’importante è sapersi fermare prima di illudersi di poter fare del tutto a meno della condivisione, del contatto.
Se sei Alex Supertramp che viaggia da solo per mesi o anni tra deserti, montagne e foreste, sappi che, prima o dopo, avrai bisogno di dormire abbracciato a qualcuno nel pulmino.
Anche solo per sentire meno freddo.
2 Commenti
È sempre bello leggerti 😊
RispondiEliminaIl bello dell'umano è questo, che fondamentalmente siamo animali sociali, anche la persona più introversa prima o poi sentirà il bisogno di raccontare, raccontarsi a qualcuno che possa capire, ascoltare, o anche solo sentire.
RispondiEliminaIo percepisco la mia stessa felicità quando mi trovo alle 3 del mattino a chiacchierare con voi nei locali, per esempio; poi cerco di mostrarla con un abbraccio stretto: dimmi tu, riesci a percepirla, la mia felicità in quei momenti?
Forse la felicità stessa è ciò che ci fa sentire meno freddo, che ci scalda da dentro...
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